Superato alla grande il primo blocco di quattro partite con altrettante vittorie la Roma ricomincia la sua marcia contro il Sassuolo di Dionisi.
Naturalmente siamo solo all’inizio della stagione e qualunque risultato non ci dirà nulla di definitivo, eppure quella contro il Sassuolo potrebbe avere una importanza psicologica da non sottovalutare.
Quella di domani infatti sarà probabilmente la partita più difficile delle prossime tre, e qualora riuscisse a vincere la Roma avrebbe la concreta possibilità di continuare a viaggiare a punteggio pieno visti i successivi impegni di campionato con Verona e Udinese.
Quindici punti nelle prime cinque partite sarebbero una iniezione di fiducia senza pari in vista della sesta che è il derby contro la Lazio di Sarri, e affrontarlo da capolista porterebbe si pressione ma anche entusiasmo e consapevolezza.
Forse siamo andati troppo lontano col pensiero, l’impegno di domani presenta difficoltà e la Roma ci arriva con qualche acciacco di troppo. I vari Vina, Mancini, Zaniolo, Pellegrini hanno avuto problemini fisici, sono tutti disponibili ma non tutti scenderanno in campo.
Probabilmente Vina cederà il posto a Calafiori che avrà una buona occasione per dimostrarci quanto è affidabile. A rigor di logica dovrebbe riposare anche Mancini visto che Mourinho ha la fortuna di avere quattro centrali di buon livello e potrebbe serenamente far giocare Koumbulla sempre che non voglia rimettere in campo Smalling ed allora forse chiederebbe uno sforzo a Mancini come compagno di reparto. Zaniolo nonostante qualcuno ipotizza un turno di riposo a favore di Pérez dovrebbe essere della partita, mentre Pellegrini dovrebbe giocare visto l’equilibrio tattico che sta garantendo alla squadra è questa non sembra la partita più adatta per vedere Shomurodov e Abraham contemporaneamente.
Il Sassuolo viene da un pareggio casalingo contro la Samp dove ha raccolto meno di quanto prodotto e resta un avversario molto temibile. Probabilmente dopo una Fiorentina in 10 e una Salernitana piuttosto debole questo potrebbe essere un banco di prova più affidabile e potremmo capire veramente se questa squadra ha nel dna la personalità, il carattere e la qualità che ci ha mostrato nelle prime uscite stagionali.
Io a quella partita c’ero… era il 1988, ero un pischelletto quattordicenne che andava in curva sud… 106 striscioni e la scritta 106 volte grazie… 90 minuti di cori incessanti… non ti scordiamo, Roberto non ti scordiamo… li ho ancora nelle orecchie…la curva sud omaggiava come meritava il suo bomber. Ironia della sorte 32 anni dopo un altro bomber potrebbe salutarci ancora con questo numero di goal… 106… certo in questo caso in totale mentre quelli di Roberto Pruzzo erano solo in campionato, ma sempre 106 sono, e fatti in sole 5 stagioni. Forse il tifo è cambiato, magari oggi anche il bomber sarebbe etichettato come pippa.. ma per Edin se finisse così non ci sarebbero striscioni, non ci sarebbero cori… forse per il Covid, ma forse non ce ne sarebbero stati lo stesso… ci lamentiamo delle cessioni, delle plusvalenze… ma probabilmente siamo cambiati anche noi… però almeno personalmente spero di continuare a vedere Edin Dzeko con la maglia della Roma… uno dei più forti numeri 9 ad averla vestita, sudata ed onorata sempre…. se possibile con accanto Milik, altrimenti con qualunque altro attaccante disposto a combattere per la maglia numero 9
Daniele De Rossi saluta la Roma il 26 maggio 2019 dopo 616 partite della sua carriera romanista. Ci saluta con eleganza, da par suo, con una splendida lettera.
La lettera del capitano, il nostro vanto… qualcuno dovrebbe chiedergli scusa prima dell’arrivederci che ci diremo domani. E non parlo della società, loro non gli dovevano niente, gli hanno rinnovato il contratto due volte quando gli è servito e oggi fanno una cazzata pensando di poter fare a meno del calciatore e dell’uomo. Ma loro non sono romanisti. Quelli che dovrebbero chiedere scusa sono quei tifosi che per anni lo hanno calunniato e insultato. E non sono pochi… capitan ceres, lo sgarro sotto la barba, non gioca da 3 anni… Daniele è stato bravo a prendere solo l’amore di questa città che può essere immenso. Domani che sia una grande festa, DDR è un nostro orgoglio, e ci lasciamo con la certezza che ci rincontreremo presto, lui senza Roma non sa stare:
Queste le sue parole:
Che te ridi regazzi’?
So’ felice!
Perché sei felice?
C’ho la maglietta della Roma
Ma non è che è falsa?
Ma no, il numero l’ha cucito mia zia…
E se te dico che la indosserai più di seicento volte?
A me ne basterebbe una di partita.
Riguardando questa foto, che ormai conoscete tutti, mi rendo conto di quanto io sia stato fortunato, una fortuna mai data per scontata e per la quale non sarò mai abbastanza grato.
È stato un viaggio lungo, intenso, sempre accompagnato dall’amore per questa squadra.
Questa gratitudine non voglio lasciarla sospesa per aria, perché, mentre scrivo la parola grazie, non mi passano per la testa dei concetti astratti, ma dei ricordi e delle sensazioni, delle facce e delle voci.
Permettetemi di ringraziare tutta la Roma che ho conosciuto:
la famiglia Sensi, il presidente Pallotta.
Tutte le donne e gli uomini che hanno lavorato e lavorano a Trigoria.
Gli allenatori che mi hanno guidato, ognuno mi ha insegnato qualcosa di importante, nessuno escluso.
Gli staff medici che si sono presi cura di me; Damiano, senza il quale le mie presenze con questa maglia sarebbero state sicuramente meno.
I miei compagni, la parte più intima del mio lavoro: sono la mia famiglia. La quotidianità dello spogliatoio di Trigoria sarà quella che mi mancherà di più.
Bruno, che ha visto in me qualcosa di speciale e mi ha portato in questo fantastico settore giovanile. È lì che, una mattina di agosto, ho incontrato Simone e Mancio, che mi sono rimasti accanto finora e resteranno per tutta la vita.
Grazie a Davide, anche lui accanto a me per tutta la vita.
Grazie a Francesco. La fascia che ho indossato l’ho ricevuta dalle mani di un fratello, di un grande capitano e del calciatore più straordinario al quale io abbia mai visto indossare questa maglia. Non capita a tutti di giocare 16 anni accanto al proprio idolo. Riconsegno questa fascia, con rispetto, ad Alessandro. Un altro fratello che sono sicuro ne sia altrettanto degno.
Grazie a papà e mamma per avermi cresciuto trasmettendomi due valori che sono ogni giorno con me: non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te stesso e dai una mano a chi è in difficoltà.
Grazie a Ostia, alla sua gente e al suo mare, che mi hanno svezzato da bambino, accompagnato da adolescente e riaccolto da adulto.
Grazie anche a chi mi ha sopportato e supportato tra le mura di casa: senza Gaia, Olivia e Noah e soprattutto Sarah sarei la metà dell’uomo che sono oggi.
Grazie ai tifosi della Roma, i miei tifosi. Mi permetto oggi di dire miei, perché l’amore che mi avete dato mi ha permesso di continuare ad essere in campo parte di voi. Siete stati la ragione per cui tante volte ho scelto di nuovo questa città. Domani sarà la seicentosedicesima volta in cui io considererò questa scelta, la scelta giusta.
Il 26 maggio di qualche anno fa abbiamo vissuto una giornata dopo la quale pensavamo di non poter tornare a sorridere. Lo pensai anche io, finché non vidi il tatuaggio di un tifoso con scritto “27 maggio 2013, eppure il vento soffia ancora”. Non so a chi appartenesse questo tatuaggio, ma so che il vento ricomincerà a soffiare anche da questo 27 maggio.
Mai come in questi giorni ho sentito il vostro affetto: mi ha travolto e mi ha riempito il cuore. Mai come in questi giorni vi ho visto così uniti per qualcosa. Ora, il regalo più grande che mi potete fare è mettere da parte la rabbia e tutti uniti ricominciare a soffiare per spingere l’unica cosa che ci sta a cuore, la cosa che viene prima di tutto e tutti, la Roma.
Dal 2019 la Roma ha trasferito i suoi uffici amministrativi e dirigenziali dal Centro Sportivo di Trigoria a Viale Tolstoj, nel cuore del quartiere dell’Eur. La scelta è dovuta alla necessità di ricollocare parte degli oltre 200 dipendenti per i quali la sede del Fulvio Bernardini cominciava ad essere stretta, ed alla volontà di avere una sede di rappresentanza in città. La scelta del quartiere Eur è stata fatta, per motivi logistici, ma comunque l’Eur è un quartiere nel quale la Roma aveva già messo le sue radici nello storico campo del Tre Fontane. La ristrutturazione dell’edificio ha puntato a preservarne la bellezza privilegiando ampi spazi ed il risultato estetico è davvero molto interessante. I nuovi uffici sono stati fortemente voluti dal presidente Pallotta.
IL CUCS SI CONFESSA (“Giallorossi”, Marzo 1981) “Quando finirà la nostra storia, inizierà la nostra leggenda”
– Come, quando e perché è nato il Commando Ultrà Curva Sud? CUCS: “La sua nascita risale esattamente al 9 gennaio del ‘77. All’Olimpico si giocava Roma-Sampdoria, una gara che i giallorossi vinsero per 3-0. Fino a quel giorno in Curva Sud c’erano sparsi molti gruppi di ragazzi; vale la pena di ricordare i Boys, i Fedayn, la Fossa dei Lupi, le Pantere, i Guerriglieri ed altri ed ognuno per proprio conto pensava a tifare Roma, con quanto più amore era possibile. Poi decidemmo di unirci tutti insieme e formare un gruppo unico in maniera tale che il nostro incitamento fosse non solo omogeneo e costante ma ben più potente. Il nome? ce ne erano molti in “lista”: ognuno dei capi dei gruppi che nominavamo prima aveva fatto una proposta, aveva dato la sua idea; poi tutti insieme decidemmo che il migliore fosse Commando Ultrà Curva Sud anche perché era del tutto inedito. Nei primi tempi potevamo contare su soli 5 tamburi, più ovviamente bandiere e lo striscione. Ora le cose sono cambiate: ufficialmente iscritti al CUCS siamo più di trecento, ma per comprendere quanti in realtà siamo basta dare uno sguardo la Domenica alla Sud. Da un po’ di tempo poi il CUCS è stato diviso in sezioni: praticamente in ogni quartiere di Roma esiste una nostra sezione, ma molto attive sono anche quelle dei Castelli Romani e di Cassino. Nostri affiliati sono comunque anche fuori del Lazio, specie in Lombardia e Piemonte”. – Chi vi finanzia? Come andate avanti? CUCS: “Siamo completamente autofinanziati. Non riceviamo soldi da nessuno. Le nostre entrate derivano esclusivamente dalla vendita di adesivi, magliette con stampato “ultrà”, medagliette, sciarpe e altre cose. Tutto quanto ricaviamo ci serve per organizzare le trasferte (i nostri affiliati usufruiscono di uno sconto) o per riparare le pelli dei tamburi che ogni Domenica si rompono o per comperare del materiale che ci permette di fare un tifo sempre più folkloristico e pittoresco”. – I vostri rapporti con la Roma-società? CUCS: “Sono improntati alla massima autonomia. C’è comunque molto dialogo e questo va a tutto del Presidente Viola che ha sempre intrecciato con noi un discorso, cercando di capire i nostri problemi e di aiutarci per quanto gli è possibile, dandoci magari dei consigli su come lui vorrebbe fosse il nostro tifo. Una persona davvero eccezionale”. – E con i Roma Club? CUCS: “Ottimi, ma anche in questo caso c’è completa autonomia. Il nostro gruppo non ha niente a che fare con i circoli del tifo organizzato. Magari ci sentiamo quando c’è da fare un qualcosa di veramente folkloristico che implica un loro minimo aiuto, ad esempio come è accaduto di recente per portare le nostre scritte a bordo campo ove loro hanno più facilità di accedere”. – Perché “ultrà”? CUCS: “Perché ultra significa “oltre”, perché significa di più e noi diamo di più del tifoso normale. Perché per noi la prtita comincia una settimana prima, perché noi seguiamo la Roma ovunque a qualunque distanza e con qualunque tempo, perché noi voltiamo le spalle alla gara per poter organizzare meglio i nostri canti, i nostri cori di incitamento, perché noi facciamo di pù di quello che fa il tifoso normale, anche se lo rispettiamo perché anche se non canta insieme a noi ama lo stesso la Roma, perché anche se preferisce vedersi l partita comodo dalla tribuna invece che dalle gradinate della curva professa la nostra stessa fede. Però lo critichiamo quando si lascia andare (e quest’anno non ne aveva davvero ragione) a fischiare se la squadra non riesce a vincere. Noi questo non lo tolleriamo: la Roma si ama sempre e comunque. Ecco , forse anche per questo siamo ultrà”. – Ultrà si nasce o si diventa? CUCS: “Tutto sta a comprendere in quale maniera uno voglia tifare la Roma: a noi piace cantare, gioire e magari piangere con essa, ad altri no. Si può essere ultrà ad 8 come ad 80 anni: tutto dipende da cosa uno sente dentro”. – A proposito di età: che media hanno i ragazzi e le ragazze del Commando? CUCS: “Diciamo che si aggira sui 17-18 anni; d’età superiore ce ne sono pochi perché magari crescendo vengono a mancare gli stimoli, si hanno altri interessi. Quello che però è certo è che il Commando potrà sempre contare su un grosso numero di ragazzi in virtù di una logica ben precisa dettata dal tempo: chi adesso ha 12-13 anni tra poco tempo prenderà il posto di quanti nel frattempo saranno diventati più adulti: quando poi anche quelli non vorranno più star con noi al loro posto troveremo coloro che adesso hanno magari 8-9 anni, e così di seguito”. – Cos’è la Roma per voi: mito, leggenda, fede, un credo? CUCS: “E’ sicuramente un credo, altrimenti non si spiegherebbe come potremmo seguirla sempre e ovunque nonostante le sconfitte, i chilometri, il freddo e, perché no?, i problemi economici”. – Cosa dice il Vangelo dell’ultrà? CUCS: “Che la Roma va sempre amata, anche oltre misura ed anche quando non se lo meriterebbe. Per noi la Romaè un amore incontenibile, una malattia da cui difficilmente si riesce a guarire”. – Perché la violenza negli stadi? CUCS: “Perché ormai la violenza è dilagata ovunque, anche nelle strade e per rendersene conto basta sfogliare qualsiasi giornale. Anzi, quella che c’è negli stadi è sicuramente minore: il violento di strada che viene fra noi trova sempre 40-50 ragazzi che lo controllano, che cercano di persuaderlo. Sotto questo aspetto il nostro gruppo è una valvola di sicurezza. Unpotenziale di violenza, inutile negarlo, è presente in goni stadio italiano: a Roma c’è comunque in una percentuale veramente minima e ne è dimostrazione il fatto che la società per colpa dei tifosi sono anni che nonprende una multa”. – Perché i cori non proprio amichevoli lanciati all’indirizzo degli avversari? CUCS: “Duemila anni fa negli antichi stadi romani si usava il pollice verso o no per decidere della sorte dell’avversario: era sicuramente un fatto emotivo, come lo è ad esempio ora il “devi morire”. Non si tratta tanto di voler veder morto questo o quell’avversario quanto scoraggiarlo affinché la nostra squadra da questa sua condizione possa trarne dei vantaggi. Eppoi una persona che si presenta davanti ad 80mila persone sa benissimo che può andare incontro a rischi di questo genere: l’attore se in palcoscenico sbaglia viene fischiato, nello stadio l’atleta avversario rischia di beccarsi un coro che può contribuire a farlo sbagliare. A Roma fortunatamente di rischi corre solo questo…” – Qual’è secondo voi la ricetta che potrebbe portare all’allontanamento della violenza dagli stadi? CUCS: “Un ingrediente giusto potrebbe essere sicuramente una maggiore collaborazione tra la società e i gruppi di ragazzi. Un po’ quello che sta facendo la Roma, che ha aperto con noi un dialogo, sforzandosi di capire quali sono i nostri problemi, anche se ci soino delle divergenze visto che sotto certi aspetti la vediamo in maniera differente. Ma l’importante è intrecciare un discorso”. – Quel 28 ottobre 1979… CUCS: “Una data che difficilmente riuscirà a cancellarsi dalle nostre menti. A distanza di un anno e mezzo possiamo affermare che tutto quanto è successo quel giorno all’Olimpico è stato l’amarissmo frutto di tutta una serie di incredibili circostanze sfortunate. E’ stato dimostrato che il razzo che uccise il povero Paparelli, e razzi come quello erano già stati lanciati in molti altri stadi italiani da altre tifoserie, non era direzionabile. Mai e poi mai c’è stata quindi intenzionalità Avevamo raggiunto un grado di organizzazione così elevato che sarebbe stato veramente impensabile e stupido farlo crollare con un simile atto. La morte di Paparelli è stato un vero e proprio trauma che ci porteremo sempre dietro, perché non va dimenticato che fuori dallo stadio, ognuno ha la propria vita, chi studia, chi lavora, o chi è alla ricrca di un lavoro. Ci ha maturato parecchio, questo indubbiamnte: ci ha fatto comprendere quanto fosse stupido mischiare sport e violenza. Siamo molto avviliti per quanto è successo, ma non ci sentiamo affatto colpevoli e per questo continuiamo ad andare allo stadio, anche se molti avrebbero preferito non farlo più, proprio perché ci sentiamo con la coscienza a posto. Del resto né prima né dopo quel derby nessuno aveva e ha ragione di lamentarsi nei nostri confronti. Anzi da allora abbiamo collaborato e collaboriamo tuttora con le forze dell’ordine e con il servizio dei Roma Club, sempre spontaneamente questomvogliamo sottolinearlo, affinché all’interno dello stadio tutto fili nella maniera migliore. Nonostante questo ancora oggi siamo visti come il fumo negli occhi da tantissima gente: pensate poi che la Domenica allo stadio non ci fanno più portare il nostro striscione perché dicono sia offensivo, anche se in altri stadi d’Italia la gente entra con i coltelli, e qunidi con l’intenzione di usare violenza se ne capita l’occasione, o con volantini e striscioni veramente violenti e nessuno se ne accorge o dice nulla! Stessa sorte tocca ogni Domenica alle nostre sciarpe, ai megafoni che ci vietano di portare con noi. Ma restiamo tranquilli e non vogliamo creare nessuna polemica tanto è vero che prossimamente verrà inaugurato un nuovo striscione: quello con la scritta Commando Ultrà Curva Sud lo metteremo per nostra volontà in naftalina e al suo posto ne innalzeremo uno nuovissimo, senza alcuna scritta “minacciosa”… Il nome lo stiamo vagliando (sarà “I Ragazzi della Sud”, n.d.r.), ma la decisione finale non dovrebbe tardare a giungere. Il nostro scopo, sia ben chiaro, è soltanto quello di tifare la Roma e accuse tipo “banda armata” come ci ha definito un quotidiano nei giorni seguenti la morte di Paparelli ci fanno male: evidentemente non hanno capito nulla di noi. Se dovessimo dare una definizione del nostro gruppo non esiteremmo un attimo nell’affermare che CUCS significa fedeltà giallorossa. Noi vogliamo soltanto tifare la Roma; la Sud è il cuore della Roma, noi siamo il cuore della Sud”. – Qual’è il vostro sogno sotto l’aspetto del tifo? CUCS: “Uno stadio intero che canti e partecipi come ed insieme a noi. Un po’ quanto è accaduto in occasione di Roma – Carl Zeiss Jena: uno spettacolo indimenticabile! Il nostro sogno è insomma uno stadio ultrà, o quanto meno che la Curva Sud diventi la curva ultrà”. – C’è chi afferma che per gruppi come il vostro lo sport preferito sia la “caccia al tifoso avversario”. Cosa rispondete? CUCS: “E’ una menzogna! Nel nostro caso non è affatto vero: il nostro sport preferito è quello che ci permette di battere sugli spalti la tifoseria avversaria. Cosa che, modestamente, ci riesce abbastanza spesso”. – C’è nelle vostre azioni la voglia, la tendenza a voler sopravvalutare Roma-città sulle altre città? CUCS: “Sì, indubbiamente. Vogliamo che Roma, sotto tutti gli aspetti, compreso quindi anche quello sportivo, sia la capitale del mondo. Noi romani, e romanisti, siamo i più forti del mondo!”. – Cosa vi sentite di dire a quei genitori che per timore non mandano i loro figli allo stadio? CUCS: “Sinceramente comprendiamo queste loro titubanze perché magari alla TV o sui giornali vedono spettacoli indecenti di violenza negli stadi. Ma a Roma queste cose non esistono! A questi genitori noi diciamo: provare per credere, venite prima voi e poi manderete i vostri figli”. – Due parole che vorreste tutti ascoltassero? CUCS: “Anche tu con noi per la magica Roma!”
Lo stadio Flaminio, situato nel quartiere Flaminio della città di Roma, è un monumento simbolo dello sport italiano. Costruito al posto dello Stadio Nazionale in occasione delle Olimpiadi del 1960 ed inaugurato nel 1959, ha ospitato innumerevoli eventi sportivi come partite di calcio, tornei di tennis, concerti musicali e anche incontri di rugby.
La sua forma circolare e il design moderno di epoca post-bellica lo hanno reso uno dei luoghi più iconici dello sport italiano. Nel corso degli anni è stato il teatro di partite di calcio di alto livello con la partecipazione di squadre di prestigio come la Lazio e la Roma, ma anche il luogo dove si sono esibiti grandi nomi del tennis internazionale come Bjorn Borg e John McEnroe.
Nella stagione calcistica 1989-90 la Roma deve fare a meno dello Stadio Olimpico che è in ristrutturazione in vista dei Mondiali di Calcio del 1990, e disputa tutta la stagione al Flaminio. La stagione parte con delle premesse negative, il Presidente Viola chiede sacrifici vista la ridotta capacità del Flaminio che permette solo 10000 abbonamenti. Ma la Roma operaia di Gigi Radice è combattiva come piace ai tifosi, si instaura il giusto feeling e la Roma porta a casa un dignitosissimo ed apprezzato sesto posto togliendosi soddisfazioni e consegnando alla storia un campionato che è rimasto nel cuore di tanti romanisti.
Tuttavia, nonostante sia stato un luogo di grandi emozioni, negli ultimi anni lo stadio Flaminio è stato abbandonato e trascurato, diventando una struttura in disuso.
Inoltre, dato che lo stadio si trova in una zona centrale della città, potrebbe essere un forte richiamo turistico per il quartiere Flaminio e la città di Roma in generale, creando nuove opportunità di lavoro e sviluppo economico.
Il rinnovamento dello stadio Flaminio potrebbe essere un’importante occasione per la città di Roma per mantenere vivo il patrimonio storico-culturale sportivo della città e allo stesso tempo attirare nuove opportunità e visibilità internazionale. Speriamo che le autorità preposte possano rispondere ad questa sfida e riportare il Flaminio al suo antico splendore.
Daniele De Rossi ci lascia. Anche questo momento è arrivato… inevitabile come l’addio di Francesco Totti, ma forse stavolta più inaspettato e per certi versi più doloroso. Francesco si è arreso al tempo, ha resistito più che ha potuto arrivando a fare la differenza anche dopo aver passato i 40, De Rossi probabilmente si è arreso al suo amore per la Roma, capendo che il suo fisico non gli avrebbe permesso di aiutarla come avrebbe voluto.
Totti e De Rossi, hanno accompagnato gli ultimi 20 anni di Roma, i momenti belli, qualche vittoria, tante delusioni… due personaggi enormemente diversi che però hanno rappresentato al meglio la romanità completandosi e creando un rapporto con la città difficilmente ripetibile.
Di Totti si è scritto tanto… i suoi numeri, i video dei suoi goal parlano da soli e resteranno in eterno. Tra 30 anni a un ragazzo che tifa Roma basterà far vedere qualcuno dei goal di Francesco per spiegargli la classe, il genio di questo grande campione. Ma come potremmo spiegare chi era Daniele?
De Rossi qui a Roma è stato quasi sempre il numero due…. “la Roma di Totti e… De Rossi”, si è sempre detto. Eppure quest’anno saluteremo un vero numero uno, il vero leader della Roma dell’ultimo ventennio ! Un calciatore di un carisma e personalità difficilmente eguagliabili, un grandissimo calciatore e un vero ROMANISTA.
Nella sua carriera De Rossi alla Roma è probabilmente molto in credito. Mentre Francesco Totti ha dato tantissimo ma anche ricevuto tantissimo (la gioia di uno scudetto, la fascia di capitano per un ventennio, l’amore eterno della città che lo ha fatto Re), De Rossi nonostante le sue incredibili capacità tecniche e tattiche da calciatore non ha mai vinto lo scudetto a Roma da protagonista, ha pagato il non giocare nella Roma più forte della sua storia ed ha pagato l’ombra di Totti.
Capitan Ceres, lo sfregio sotto la barba, sono 5 anni che non gioca… ma quante ne ha dovute passare Daniele? Ha pagato sempre lui per la Roma, e non gli abbiamo mai perdonato niente. Il rinnovo del 2012, quando De Rossi era uno dei primi 3 centrocampisti in Europa… un contratto che la vecchia dirigenza non poteva rinnovare e arrivato a scadenza. De Rossi che poteva andare gratis in qualsiasi squadra avesse voluto. Il Chelsea lo avrebbe coperto d’oro, invece De Rossi si è accordato con la Roma. La gente gli ha sempre fatto pesare quei 6 milioni a stagione, eppure lui avrebbe potuto prendere quasi il doppio se non fosse stato così innamorato dei colori giallorossi.
Il mio più grande rimpianto è di avere solo una carriera da poter donare alla Roma
Daniele De Rossi non è stato mai banale. Sempre lucido nelle interviste, sempre schietto e sempre molto intelligente. Probabilmente per questo tutti noi sappiamo che diventerà un grandissimo allenatore, come lo è il Papà con la primavera e anche molto di più. Qualcuno spinto dall’amore lo vorrebbe subito, ma no, Daniele non si deve bruciare… deve finire soddisfatto la sua carriera da calciatore, fare le sue esperienze e poi tornare qui ed allenare la nostra squadra. Lui non è Ancelotti, che dice da 20 anni che prima o poi allenerà la Roma, Daniele la Roma la allenerà sul serio e speriamo che il destino gli renda quelle vittorie che non ha potuto avere da calciatore.
616 Presenze, 18 stagioni con una sola maglia. Il secondo calciatore della nostra storia ci saluterà a Roma – Parma. Per molti sarà forse meno emozionante dell’addio di Francesco, ma non per chi l’ha vissuto per tutta la carriera. Probabilmente tanti non si ricordano quanto è stato forte De Rossi calciatore, e tanti non capiscono quanto sia importante l’uomo nello spogliatoio. De Rossi con la sola presenza riesce a trasmettere la vera essenza di essere Romanista, ti basta guardarlo in faccia per capire l’orgoglio che prova indossando i colori della sua Città, ma proprio per la carriera che ci ha donato dobbiamo con riconoscenza “concedergli” questa esperienza all’estero, felici che abbia scelto di farla oggi e non a 28 anni. La speranza è che tutti i tifosi mettano da parte a Roma – Parma tutta la delusione della stagione, gli attriti con la società, e gli regalino una festa come assolutamente merita.
In qualunque storia che si rispetti, il personaggio del Principe è solitamente quello che garantisce il lieto fine salvando e sposando la principessa. Nella storia della Roma però, il Principe Giuseppe Giannini probabilmente ha raccolto qualcosa in meno di quello che avrebbe meritato.
Giannini è stato un calciatore fantastico. Talento allo stato puro, intelligenza calcistica superiore e tanto tanto amore per la Roma. Purtroppo per lui, non è stato fortunato perché la sua carriera calcistica si colloca tra la grande Roma di Viola del secondo scudetto e quella di Sensi del terzo, che ha sfiorato ma delle quali non ha potuto far parte per motivi anagrafici. La Roma di quegli anni raramente è stata competitiva per i primi posti nonostante la presenza di qualche campione come appunto Giannini, Voeller e Aldair, ma con una qualità complessiva non all’altezza.
Nonostante tutto il Principe, è riuscito a vincere con la Roma qualche Coppa Italia e può definirsi Campione d’Italia 1982-83 anche se in quella stagione non venne mai schierato in campionato.
L’esordio del Principe Giannini
Giannini nasce il 20 Agosto 1964 nel quartiere Triste, e si trasferisce a 3 anni a Frattocchie. Qui inizia a muovere i primi passi da calciatore nel Santa Maria delle Mole. Il suo talento è evidente, ed approda giovanissimo nell’Almas Roma su segnalazione di Luciano Tessari (vice-allenatore di Nils Liedholm).
Giannini, ad appena 14 anni, era considerato il miglior talento Italiano in prospettiva, e sono tante le squadre che si interessano a lui, in particolare il Milan (con il quale sostiene anche un provino) e la Lazio. La Roma fu brava ad approfittare di un rallentamento della trattativa col Milan e dell’addio di Moggi alla Lazio. Il responsabile del settore giovanile Giorgio Perinetti convinse il presidente Viola ad offrire ben 40 Milioni di lire per accaparrarsi il giovanissimo calciatore.
L’esordio in serie A con Liedholm
Era la stagione 1981/82, quella successiva allo scudetto perso per il gol annullato a Turone, ed Il Barone Liedholm stava costruendo la fantastica squadra che poi avrebbe vinto lo scudetto l’anno successivo. Il gioco di Liedholm si basava molto sulle qualità tecniche, ed il tecnico fu colpito dall’eleganza dei movimenti del giovane Giannini, al punto di inserirlo in campo in una partita con tanti assenti nella prima squadra. Era il minuto 56 di un Roma Cesena giocata il 31 gennaio 1982, e Giannini collezionò la prima delle sue 437 presenze in maglia giallorossa.
Purtroppo non fu un esordio fortunato, e per un malinteso a centrocampo proprio tra Giannini e Falcao la Roma perse la partita. Le critiche per quella partita furono piuttosto pesanti, e per preservare il giovane calciatore venne deciso di rimandarlo in Primavera per continuare il percorso di crescita. Giannini con la Primavera vinse il Torneo di Viareggio ed il Campionato, ma potè partecipare soltanto di riflesso ai successi della prima squadra.
Eriksson e la consacrazione
Finita l’era Liedholm la Roma deve rinnovarsi. Non c’é più Di Bartolomei e tanti giocatori chiave come Falcao sono ai margini. Il talento del Principe trova sempre più spazio e nonostante una stagione deludente Giannini gioca e convince diventando titolare della sua squadra del cuore.
La stagione successiva è quella della grandissima delusione per la rimonta sulla Juve vanificata dalla sconfitta interna col Lecce, una delle pagine più amare della storia romanista, ma resta comunque la vittoria della Coppa Italia in finale contro la Sampdoria e l’esordio in Nazionale.
Il ritorno del Barone e i tanti gol con la Roma
Sulla panchina giallorossa torna Nils Liedholm che ritrova un Giannini già affermato, e ne esalta le qualità realizzative. La Roma arriva terza e Giannini con 11 gol nella classifica marcatori è dietro solamente a Careca e Maradona. L’anno successivo è invece molto deludente. Parliamo della stagione di Andrade e Renato, dell’esonero e il richiamo di Liedholm, dello spareggio perso contro la Fiorentina con gol di Pruzzo.
La Roma del Flaminio
Nella stagione che precede i mondiali del 1990 la Roma deve rinunciare allo Stadio Olimpico sottoposto a lavori di ristrutturazione, e gioca tutta la stagione allo Stadio Flaminio, guidata dal tecnico Gigi Radice in una stagione dichiaratamente di transizione. Tuttavia il sesto posto ottenuto da una squadra di combattenti ha generato un’empatia speciale con i tifosi, al punto che quella stagione è ancora oggi ricordata con piacere nonostante un piazzamento non proprio rilevante.
I mondiali dell’Italia non furono fortunati, dopo un percorso netto viene eliminata in semifinale dall’Argentina ed è grande delusione, ma Giannini gioca un mondiale fantastico risultando uno dei migliori calciatori del torneo.
Ottavio Bianchi e la morte di Dino Viola
Dopo i mondiali la stagione inizia con grandi aspettative. Arriva in panchina Ottavio Bianchi che riesce a tenere unita la squadra e a farle disputare due finali. Sconfitta in coppa Uefa contro l’Inter e vittoria della coppa Italia contro la Samp. Ma c’é poco da festeggiare. Durante la stagione il 19 gennaio 1991 ci lascia il grande Presidente Dino Viola.
La seconda stagione con Bianchi è molto difficile per il Principe. In aperto contrasto con l’allenatore, al punto da definirlo “sleale” e di vedersi tolta la fascia di capitano.
La Roma di Ciarrapico e Boskov
Il nuovo presidente Ciarrapico sceglie per la panchina Vujadin Boskov, tecnico navigato e vincente con la Sampdoria. Peppe fa una buona stagione, ma i risultati della squadra sono estremamente deludenti con la Roma che arriva decima. Arriva anche una finale di Coppa Italia col Torino. Il 5-2 del ritorno con tripletta di Giannini non bastano a recuperare la gara di andata persa malamente per 3-0
Il difficile rapporto con Sensi e il rigore nel derby
Diventa presidente della Roma il compianto Franco Sensi. La stagione 1993-94 inizia con Carletto Mazzone in panchina. Mazzone apprezza Giannini calciatore e l’uomo, i due si prendono molto ma ancora una volta sul campo tante delusioni ed un settimo posto in classifica. L’episodio chiave che determina la fine della carriera di Giuseppe Giannini con la Roma è datato 6 marzo 1994. Si gioca il Derby e la Roma è sotto 1-0. Francesco Totti si procura un calcio di rigore nei minuti di recupero, il Principe si prende la responsabilità di calciarlo ma Marchegiani para, e la Roma perde la partita.
Il rigore sbagliato dal Principe
I tifosi giallorossi perdonano il principe dedicandogli anche uno splendido striscione nella partita successiva:
Il tuo coraggio di tirarlo, il tuo dolore di sbagliarlo, il nostro amore per dimenticarlo
Striscione curva sud
Vulcanico presidente sensi invece, a caldo nel dopo partita, si lascia sfuggire delle frasi che ferirono profondamente nell’orgoglio il principe:
Se uno ha un rigore e lo sbaglia, non è degno di stare in questa squadra
Franco Sensi
Da quel maledetto rigore il rapporto con la Roma non è mai più stato lo stesso. Giannini gioca meno e la stagione 1995-96 sarà l’ultima in maglia giallorossa. Ancora una volta il destino non regala al principe le soddisfazioni che avrebbe meritato. Forse la più bella partita di Giannini con la maglia della Roma coincide con una delle più cocenti delusioni della sua carriera. Si giocano i quarti di finale di Coppa UEFA all’Olimpico, con la Roma che deve ribaltare un pesante 2-0 rimediato all’andata. Giannini gioca una partita splendida, realizzando anche il gol che porta la Roma ai supplementari dove Moriero su assist di Totti fa 3-0. L’accesso alla semifinale sembra fatta, ma nemmeno il tempo di festeggiare e lo Sparta Praga segna il goal qualificazione. È una delusione enorme per Giannini che a fine partita annuncia il suo addio alla Roma. La sorte non gli è amica nemmeno nella penultima giornata del torneo quando dopo una superba prestazione a Firenze rimedia una ammonizione che gli impedirà di salutare la sua gente all’Olimpico contro l’Inter nell’ultima di campionato. La curva sud gli rende comunque omaggio con uno striscione di addio:
Solo chi la ama e chi soffre per la maglia ha il diritto di onorarla… per sempre. Grazie Capitano
Dopo la Roma
Giannini lascia la sua Roma e lo fa per lo Sturm Graz, squadra austriaca con la quale vince due coppe nazionali. Decide di tornare in Italia e di seguire Carlo Mazzone al Napoli. I risultati però non sono quelli sperati, e quando Mazzone viene esonerato anche Giannini lascia la squadra che a fine stagione retrocederà in serie B.
Il principe chiude la sua carriera con la maglia giallorossa, ma non quella della Roma. Viene messo sotto contratto da Lecce con il quale in serie B riesce ad ottenere la promozione.
La partita di addio ed il grande dispiacere
Terminata la sua carriera da calciatore, Giannini sente il desiderio di salutare finalmente il pubblico romanista. Viene organizzata così la sua partita di addio, tra vecchie gloria della Roma e giocatori della nazionale d’Italia 90. In campo tra gli altri Tancredi, Prohaska, Voeller, Righetti, Maldera e Bruno Conti in maglia giallorossa e Franco Baresi, Bergomi, Schillaci e Vierchowod con quella della Nazionale. Nonostante l’assenza di rappresentanti della società l’atmosfera è molto tesa. La Lazio ha da poco vinto lo scudetto ed i tifosi pretendono un rapido cambio di rotta. La contestazione sfocia in violenza, i tifosi invadono e danneggiano il campo, i calciatori rientrano negli spogliatoi e la partita viene sospesa lasciando solo il ricordo delle lacrime del principe.
L’esperienza da allenatore e l’oblio
La carriera di allenatore di Giuseppe Giannini è stata piuttosto anonima. Comincia nella stagione 2004-2005 al Foggia, e viene esonerato a metà stagione. Esperienze altrettanto brevi e negative con la Sambenedettese, in Romania all’Agres, e con la Massese. Gallipoli invece è stata una parentesi positiva, e nel 2008-2009 ottiene una storica promozione in serie B. Nel 2010 siede sulla panchina del Verona ma viene esonerato dopo 5 giornate. Pochissime partite anche sulla panchina del Grosseto, e come selezionatore della nazionale libanese. Le sue ultime esperienze da allenatore sono col Racing Roma in serie D e successivamente al Fondi dal quale si dimette per divergenze con il proprietario.
Al di là di qualche sporadica intervista il Principe è sparito dal mondo del calcio, ed è quasi incredibile ripensando a quello che ha rappresentato per questo mondo da capitano della Roma e da giocatore fondamentale per la nazionale.
Agostino Di Bartolomei è stato il grande capitano della Roma del secondo scudetto. Per i tifosi della Roma era semplicemente “Ago” o “Diba”, ed il ricordo della sua storia è ancora oggi una ferita aperta, perché quella tragica morte avvenuta per suicidio il 30 Maggio 1994, esattamente dieci anni dopo la finale di Coppa dei Campioni persa contro il Liverpool poteva essere evitata.
Agostino Di Bartolomei
Di Bartolomei aveva un carattere chiuso e riservato. In campo è stato un grande campione, nella vita un uomo di forti principi. Era un buono Diba, uno di quelli che aveva solo una parola, per il quale rispetto, riconoscenza, onestà erano dei valori imprescindibili. Purtroppo nonostante il suo grande carisma portato per tanti anni come capitano sul campo di calcio, non ha retto a quello che per lui è stato un tradimento da parte di quel mondo del calcio a cui aveva dato tutto e che dopo il ritiro gli ha chiuso tutte le porte in faccia.
Ha aspettato per dieci anni una chiamata dalla sua Roma. Tante idee, tanti progetti sulla scrivania ma quella telefonata non è mai arrivata. Per uno che aveva dedicato la sua vita alla Roma, scendendo in campo in maglia giallorossa 308 volte (146 con la fascia di capitano) segnando 66 goal non era facile da accettare.
Chi era Agostino Di Bartolomei
Agostino era romano e romanista. Ha iniziato a tirare calci ad un pallone nel suo quartiere e successivamente in una società satellite della Roma. Fu notato dal Milan appena tredicenne ma scelse di provare ad entrare nel mondo del calcio professionistico a Roma, e ci riuscì velocemente.
Approdò nelle giovanili giallorosse. Vinse un paio di campionati e ad appena diciotto anni ebbe la grande soddisfazione di esordire in serie A con la sua Roma. Il ragazzino ci sapeva fare, nelle due stagioni che seguono il minutaggio in squadra crebbe, e la Roma per completarne la maturazione lo mandò un anno a giocare titolare in serie B con il Lanerossi Vicenza.
Di Bartolomei tornò alla Roma nella stagione successiva, pronto per diventare un titolare inamovibile della squadra. Centrocampista completo, non velocissimo ma dotato di grande senso della posizione, di intelligenza calcistica, visione di gioco e di quel calcio potente e preciso che nel tempo è diventato un vero e proprio marchio di fabbrica. “Tira la bomba Ago”, urlavano i tifosi. Nel quartiere Tufello di Roma ancora oggi è presente una scritta in ricordo del capitano.
Scritta sul “Ago tira la bomba”
La sua carriera con la Roma
Con la Roma vinse tre Coppe Italia e soprattutto lo splendido scudetto della stagione 82-83 quando venne arretrato dal Barone Liedholm in difesa. Accanto al velocissimo Vierchowod e potè sfruttare tutta la sua sapienza calcistica diventando un fantastico regista difensivo, riuscendo a sfruttare il suo tempismo e senso della posizione in fase difensiva, ed i suoi precisissimi lanci e le conclusioni nei frequenti inserimenti in zona avanzata.
Nonostante le grandi prestazioni con la maglia giallorossa, non fu mai protagonista in maglia azzurra in anni in cui se non si vestivano maglie a strisce era davvero complicato imporsi in nazionale.
Dopo la dolorosa sconfitta in Coppa dei Campioni la Roma cambiò allenatore, e sulla panchina giallorossa arrivò Sven Goran Eriksson, cultore di un gioco veloce e atletico. Per caratteristiche Ago non era adatto a quel tipo di gioco, inoltre la finale con il Liverpool con i rigori aveva lacerato il rapporto con alcuni compagni ed il Presidente Viola decise di cederlo al Milan.
Roma era con lui, nell’ultima partita in maglia romanista, un Roma – Verona finale di Coppa Italia giocata il 26 Giugno 1984 lo salutano con un bellissimo striscione. Pochi mesi dopo si gioca un Milan – Roma, e Diba, in maglia rossonera segna, ed esulta in modo rabbioso, scaricando tutta la frustrazione e la rabbia accumulata per una cessione che aveva vissuto come un tradimento. Molti tifosi non hanno gradito, ed i rapporti con il tifo romanista per qualche tempo si è raffreddato.
ti hanno tolto la roma ma non la tua curva
Ago per sempre nei nostri cuori
L’amore vero però non sparisce mai, ed ancora oggi il nome di Agostino Di Bartolomei è uno dei più amati tra il pubblico romanista. La As Roma lo ha inserito nei primi 11 giocatori della Hall of Fame ed i tifosi nei 16 giocatori più rappresentativi scelti per la coreografia del derby 2015. Ma quei dieci anni di silenzio che hanno lasciato solo Agostino restano e pesano come macigni sulle coscienze di chi non ha saputo capire l’uomo e dargli l’opportunità di mettere il suo grande amore per i colori giallorossi e la sua conoscenza del calcio al servizio della Roma. Chissà cosa sarebbe potuta essere la Roma con un uomo come Di Bartolomei in società. Un grande rimpianto per una storia finita come non doveva finire.
niente parole solo un posto in fondo al cuore
esistono i tifosi di calcio…e poi ci sono i tifosi della Roma