Guido Masetti – Ciancicone
Masetti era un veneto con il cuore di un romano. Carattere estroverso ed amante degli scherzi era amato per il suo coraggio ed il suo attaccamento alla maglia.
Una delle più belle coreografie della storia giallorossa compare in un derby giocato l’11 Gennaio del 2015. Sedici ritratti in bianco e nero dei più grandi capitani della nostra squadra, e la bellissima frase dedicata ai cugini laziali, a spiegare in poche parole qual è la differenza tra noi e loro. I giocatori rappresentati nella coreografia: Attilio Ferraris, Giorgio Carpi, Mario De Micheli, Rodolfo Volk, Fulvio Bernardini, Guido Masetti, Amedeo Amadei, Giacomo Losi, Giancarlo De Sisti, Giuliano Taccola, Francesco Rocca, Agostino Di Bartolomei, Bruno Conti, Giuseppe Giannini, Francesco Totti, Daniele De Rossi.
Non tutti romani di nascita, ma tutti romani e romanisti nel cuore che hanno lasciato un’impronta indelebile nella nostra storia.
Masetti era un veneto con il cuore di un romano. Carattere estroverso ed amante degli scherzi era amato per il suo coraggio ed il suo attaccamento alla maglia.
Mario De Micheli - Er Faciolaro
Mario De Micheli, testaccino verace, è stato un terzino dal temperamento grintoso e spavaldo. Calcisticamente nasce nella Fortitudo, e nel 1927 viene selezionato tra i calciatori che faranno parte della neo nata Roma calcio.
I tifosi giallorossi dell’epoca hanno amato Mario De Micheli non solo per le qualità tecniche e la straripante potenza fisica, ma soprattutto per il suo coraggio in campo. In un’epoca senza Var e Tv il comportamento in campo non era esattamente come oggi, ma lui non aveva paura di nulla.
Mario De Micheli era soprannominato “Er Faciolararo” perchè il padre aveva un magazzino di legumi a 1piazza San Cosimato.
I suoi valori erano lealtà e correttezza, pretendeva rispetto e le otteneva anche con maniere forti. In un derby giocato nel 1931 prese a schiaffi un funzionario della Lazio che era entrato in campo togliendogli il pallone, e quando c’era da prendere le difese di qualche compagno lui era il primo ad accorrere, e non certo per placare gli animi.
E’ stato uno degli eroi di Campo Testaccio ed in campo da protagonista nel celebre 5-1 alla Juventus.
Nell’inno del Campo Testaccio a lui viene dedicata la strofa “De Micheli scrucchia ch’è un piacere”, dove scrucchiare in trasteverino significa che anche quando provavano a fermarlo, lui riusciva a passare lo stesso.
Ha difeso la maglia giallorossa per 75 volte tra il 1927 e il 1932 prima di chiudere la carriera nel Civitavecchia.
Con la Roma vince la Coppa Coni nel 1928. La sua “cattiveria” calcistica e la sua tenacia leggendaria lo fanno entrare nella Hall of Fame giallorossa nel 2018.
I tifosi della Roma che non hanno avuto il piacere di ammirarlo in campo lo hanno omaggiato nella coreografia del derby del 2015 a ricordo dei “Figli di Roma Capitani e Bandiere”.
Sciabbolone Volk è stato il primo grande centravanti della storia romanista. Fu uno degli eroi di Campo Testaccio, ed è considerato uno dei più grandi attaccanti della storia della serie A. I suoi 106 goal realizzati in appena160 partite lo collocano al quinto posto nella classifica marcatori di tutti i tempi della Roma, ma al primo come media realizzativa. Tanto per rendere l’idea la sua media di 0,66 goal a partita risulta superiore a quella di fenomeni assoluti come Ibrahimoviç, Suarez, Van Basten, Batistuta ecc.
Rapido nei movimenti, dotato di un tiro secco e deciso era un centravanti completo, che “sentiva” la porta anche di spalle e che poteva segnare da qualunque posizione.
Io non penso, io tiro
Rodolfo Volk
Il soprannome “Sciabbolone” gli fu dato in contrapposizione al soprannome “Sciabboletta” con cui era dispregiativamente chiamato Re Vittorio Emanuele III di Savoia. Per altri Volk era semplicemente “Sigghefrido”, versione romanesca di Sigfrido, un eroe epico della mitologia germanica.
Rodolfo Volk nasce a Fiume il 14 Gennaio 1906 e calcisticamente cresce nel Gloria Fiume dove esordisce tra i professionisti realizzando 10 goal in 15 presenze nella Seconda Divisione.
Si trasferisce a Firenze dove svolgeva il servizio militare. Gli impegni con l’esercito non gli consentono di giocare con continuità ma comunque con la maglia della Fiorentina è artefice di un ottimo campionato concluso con 11 reti in appena 14 presenze (disputate con lo pseudonimo Bolteni).
Torna nella sua città natale e con la fiumana gioca e conclude il suo terzo campionato consecutivo in doppia cifra, con 16 goal in 16 presenze, finendo inevitabilmente sotto i riflettori del calciomercato.
Se lo contendono Roma e Napoli, e la disputa è talmente aspra che alla fine sarà necessario l’intervento della Federazione per mettere fine alla controversia decretando il passaggio di Volk alla Roma e quello del compagno di squadra Mihalich al Napoli.
Con la Roma furono 5 stagioni di altissimo livello, arricchite da soddisfazioni personali come il primo goal in assoluto realizzato a Campo Testaccio, il primo goal in un Derby segnato nel 1929 o il titolo di capocannoniere vinto nella stagione 1930/31.
Da sempre amato dai sostenitori giallorossi la sua effige è tra le 16 che composero la coreografia del derby del 2015 dedicata ai capitani e alle bandiere della Roma.
Dopo una stagione al Pisa nel 1933 in Prima Divisione e una breve e deludente parentesi in serie A con la Triestina terminata con un solo goal ed appena 6 presenze torna a casa e gioca altre sei stagioni nel Fiumana in serie C, confermando le sue innate doti di bomber con 90 goal in 161 partite.
Particolarmente toccante la sua fine. Morì a Nemi nel 1983 in un ospizio, in miseria e solitudine. Le sue gesta avrebbero meritato ben altro, la Roma gli riconosce il grande onore della Hall of Fame inserendolo nel 2018 tra i “grandi” della nostra storia.
Fulvio Bernardini nasce a Roma il 28 Dicembre 1905. Come si usava allora, allo scopo di guadagnare un anno, viene registrato all’anagrafe il 1 Gennaio 1906.
Soprannominato “Fuffo” o “Professore” (per via della sua laurea in scienze economiche), Bernardini è stato un grande centrocampista che con la maglia della Roma ha giocato ben 294 partite e realizzato 47 goal.
L’inizio della carriera calcistica di Bernardini è caratterizzato da alcune scelte poco felici, alle quali ha saputo porre rimedio nel tempo: inizia a giocare a calcio nella Lazio, e come portiere.
Correva l’anno 1919, e il Professore che fino ad allora aveva giocato in porta con l’Exquilia (la squadra del suo quartiere) era intenzionato a sostenere un provino con la Fortitudo. Recatosi al campo trovò però il cancello chiuso, e decise di andare a sostenere il provino alla Lazio.
Alla Lazio restò fino al 1926, giocando oltre 100 partite e indossando anche la fascia da capitano. La sua classe e le sue qualità fisiche lo resero appetibile per le squadre del nord, e così, conteso da Juve ed Inter, scelse di firmare per i nerazzurri con i quali disputò due stagioni segnando ben 27 goal. Si racconta inoltre che notò nelle giovanili un giovanissimo Giuseppe Meazza, e che fece molte pressioni al tecnico Weisz per aggregarlo in prima squadra.
Nel 1928 fu acquistato dalla Roma, ed insieme a Ferraris IV costituì una formidabile coppia di centrocampo, rimasta nella leggenda come l’anima della Roma testaccina.
Bernardini fu il primo grande acquisto della Roma, voluto dal presidente Renato Sacerdoti. Dopo l’accoglienza trionfale ricevuta dai tifosi, diventò capitano giallorosso su richiesta dello stesso Ferraris IV diventato poi suo inseparabile amico.
“A Fù, tu sei er mejo: er capitano fallo tu. E poi, a me, me rompe pure li cojoni”
Ferraris IV
Giocatore molto alto per l’epoca con i suoi 178cm dominava di testa, e oltre a possedere una tecnica raffinata con entrami i piedi (il preferito era il sinisto) ed un naturale fiuto per il goal, aveva un grandissimo senso della posizione, e una visione di gioco che sfruttò successivamente anche nella sua carriera da allenatore.
“Quando eri in difficoltà che cosa è che facevi? A chi passavi il cerino? Palla a Fulvio Bernardini, poi se la vedeva lui”.
Giorgio Carpi
Fuffo Bernardini oltre ad essere stato un grande calciatore, ha lasciato anche un’impronta indelebile come allenatore. Da tecnico riuscì anche ad avere le soddisfazioni personali che la sua carriera di calciatore non gli aveva dato. Vinse due campionati con Fiorentina e Bologna, ed una coppa Italia con la Lazio. Con la Viola arrivò anche alla finale della Coppa dei Campioni.
Curiosamente come era stato quando era giocatore, anche da allenatore si sedette su entrambe le sponde del Tevere allenando la Roma giovanile nella stagione 1949-50 e la Lazio dal 1958 al 1960.
Nel 1984 Dino viola gli intitolò il centro sportivo di Trigoria, mentre nel 2012 è stato inserito nella Hall of Fame della squadra giallorossa. Non poteva mancare il suo ritratto nella coreografia del derby del 2015 che rendeva omaggio ai grandi capitani romanisti.
Attilio Ferraris il primo capitano della Roma
Attilio Ferraris è il primo grande capitano della Roma. Proveniente dalla Fortitudo (una delle società protagoniste della fusione che ha portato alla nascita della AS Roma) di professione centrocampista, è stato protagonista insieme all’amico Fulvio Bernardini della Roma di Campo Testaccio. E’ stato anche il primo giocatore della Roma a vestire la maglia della Nazionale laureandosi anche campione del mondo nei mondiali del 1934.
Quando era ancora minorenne Attilio Ferraris rischiò di andare alla Juventus. Due incaricati della vecchia signora si recarono alla bottega del padre presentando un’offerta di ben 20.000 Lire (altissima per i tempi) facendo leva sulle origini piemontesi che il cognome Ferraris richiamava. Per nostra fortuna riportarono a Torino le 20.000 lire e Ferraris IV rimase nella squadra della sua città.
Ferraris incarnava perfettamente il carattere grintoso e generoso del romano. In campo metteva cattiveria e determinazione, fuori dal campo era un ragazzo brillante e generoso, che amava la vita fino ad eccedere. Donne, auto di grossa cilindrata fumo e gioco d’azzardo erano oltre il calcio le sue passioni.
“Se avessi ancora i soldi persi a poker, ai cavalli e ai cani, ma sai quanti soldi me giocherei ancora!!!”
La vita privata di Attilio Ferraris poco si conciliava con lo sport, era un ribelle, saltava spesso gli allenamenti e si scontrava con i suoi allenatori. Possiamo descriverlo come un Radja Nainggolan all’ennesima potenza. Sregolato nel privato ma che in campo dava tutto e proprio per questo amatissimo dal suo pubblico.
Dopo 198 partite con la maglia giallorossa e dopo il mondiale del 1934 vinto da protagonista viene purtroppo ceduto alla Lazio per 150.000 Lire “macchiando” in qualche modo la sua carriera con 39 presenze in biancoceleste. Nel 1938 tornò nella sua Roma dopo una piccola parentesi al Bari, giocando altre 12 partite dalla parte giusta del Tevere.
Morì in campo durante una partita tra vecchie glorie a soli 43 anni l’8 Maggio 1947, consegnando la sua storia alla leggenda.