Roma e Juventus, il bene contro il male
Per la Roma esiste solo una partita che può valere come un derby, anzi anche di più: la sfida contro la Juventus.
Questa rivalità ha radici profonde. La Juve è la squadra più titolata d’Italia, e solitamente chi vince non è simpatico, ma nel caso dalla Juventus l’antipatia non viene solo dai trofei vinti. La vecchia signora rappresenta l’arroganza del potere, con la famiglia Agnelli alle spalle e quella filosofia per cui «Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta». Soprusi, dispetti, ingiustizie hanno accompagnato nel corso del tempo questa partita. Per la Roma tante delusioni, ma anche alcune delle soddisfazioni più grandi.
Roma – Juve ai tempi di Campo Testaccio
Le prime schermaglie della rivalità ormai quasi centenaria risalgono agli anni 30. La Roma nasce proprio con lo scopo di contrastare lo strapotere delle squadre del nord, ed in effetti diventò subito la squadra del centro-sud più importante.
La Roma testaccina non arrivò a grandi risultati, ma era un’ottima squadra e le sfide contro la Juventus fecero storia. Fu proprio la Juventus ad espugnare per la prima volta il mitico Campo Testaccio con un 2 – 3 nel Gennaio del 1930. L’anno successivo la storica vendetta romanista che nel Marzo 1931 inflisse il mitico 5-0 alla fortissima Juve che avrebbe poi vinto cinque scudetti di fila, e che esattamente 12 mesi dopo lavò l’onta con un altrettanto roboante 7-1 a Torino. Sempre a Marzo, ma nel 1936 la prima vittoria a Torino, un 3-1 con la doppietta di Benedetti per la Roma che terminò la stagione al secondo posto ad un solo punto dal Bologna.
Per quattro decenni la rivalità tra Roma e Juventus rimase sopita, o meglio non si manifestò sul campo perché in quegli anni la Roma raramente si affacciava nelle zone alte della classifica. Non mancarono però storie da raccontare, come il famoso smaccò del 1970 quando la Juventus si prese letteralmente quelli che venivano definiti i “gioielli” della Roma: Capello, Landini e Spinosi. Inoltre nonostante in quei tempi senza Var e senza le partite trasmesse in Tv gli episodi sul campo non fossero così evidenti come oggi, quella “sudditanza psicologica” degli arbitri nei confronti della Juve era già ben evidente.
Gli anni di Falcao e Platinì
La rivalità tra giallorossi e bianconeri raggiunse l’apice negli anni 80, quando entrambe le società allestirono squadre fortissime. Il presidente Viola non aveva i mezzi economici degli Agnelli, ma ci sapeva fare. In quegli anni il Campionato Italiano era punto di arrivo di tutti i calciatori del mondo, non esistevano gli arabi nel calcio, e lavorando bene non era impossibile arrivare a grandi giocatori.
Il nostro “attentato di Sarayevo” ossia l’episodio che fece scoppiare la “grande guerra” tra Roma e Juventus si consumò il 10 maggio 1981. La Roma è seconda in classifica ad un punto dalla juve, e alla terzultima di campionato si gioca a Torino la partita che potrebbe significare il secondo scudetto della sua storia. La partita termina 0-0, ma al 75mo la Roma segna un goal che viene ingiustamente annullato per fuorigioco dal guardalinee dopo che l’arbitro aveva convalidato. Quel goal che poi la storia dimostrò essere buono di circa 10 centimetri diventò il simbolo di tutte le ingiustizie subite, e probabilmente l’episodio più discusso di sempre nel campionato di serie A.
Da quel momento praticamente tutte le partite giocate tra Roma e Juventus sono state uno susseguirsi di polemiche fino ad arrivare ad oggi. Tra i più incredibili ricordiamo il colpo di testa del guardialinee sulla rimessa laterale di Aldair del 1995, o il più recente Juventus – Roma 3-2 della stagione 2014-2015, con tre goal irregolari su 3 e il famoso gesto del violino di Garcia. La Roma spesso si è trovata a dover combattere contro decisioni discutibili, ma si è tolta anche qualche soddisfazione come il 4-0 del 2012 con Totti che fa il 4 con la mano a Tudor dicendo “ne hai presi 4 vai a casa”. Non sono mancati episodi extra campo come il passaggio alla juve di due degli artefici del terzo scudetto (Emerson e Mister Capello) ad alimentare un livore che non avrà mai fine.